Ad Erto con Mauro Corona

Ad Erto con Mauro Corona
Dialogo con Mauro Corona.
di Renato Placuzzi e Genni B.

Un ‘ruffo’ di capelli tenuti a stento da un fazzoletto annodato alla nuca, occhi neri profondi, braccia nude…
Il bar di Erto è pieno di gente seduta a i tavoli ma la fisionomia è nota e balza agli occhi. Immediatamente.
Alza gli occhi, sorride di un sorriso aperto, amichevole. Le mani si staccano dal bicchiere di vino rosso e gesticolano in modo deciso, ci fanno segno di sedere al tavolo con lui.
Non ce lo facciamo ripetere e ci troviamo a conversare con Mauro Corona come vecchi amici, il bicchiere di vino rosso in mano.

“Lo vedi questo? E’ un amico, inseparabile..un amico – nemico.
E’ stato in certi periodi della mia vita un amante traditore, di cui subivo il fascino e le conseguenze nefaste….
Ora non più. Posso smettere quando voglio. La montagna aiuta anche in questo. La montagna, la solitudine con te stesso sai…ti fa riacquistare la tua dimensione umana ed etica. Ti riconcilia con te stesso e con il mondo. Sono stato solo in una grotta per qualche tempo e senza questo (indica il bicchiere di vino) …. sai, non ne ho sentito neanche il bisogno.
I giovani devono capire che possono farcela con le loro sole forze perché la volontà è potenza.Basta tirarla fuori.”

“Perché hai scritto un libro in cui ti metti a nudo in modo così totale?”

“Dovevo pareggiare i conti con il mio passato, dovevo rivederlo sulla carta per potermi riconciliare con lui … eh …ne ho fatte di “cazzate”!
Non sono un mito, sono una persona con i suoi difetti. Voglio che i giovani si guardino dai falsi miti.
La dipendenza, qualsiasi essa sia, uccide la libertà, è da combattere e vincere.
E voglio che i giovani che vanno a scalare sappiano che è da fessi rischiare per il gusto di quel subdolo brivido dell’estremo….
Ti fa sentire vivo…ma vivo – morto…è un attimo.
E’ una lezione che ho vissuto sulla mia pelle, sulla mia esperienza, per anni.
Mi è andata bene ma c’era scritto da qualche parte… ho potuto aprire quelle trecento e oltre vie quasi sempre rischiando la pelle.
E’ assurdo. Ne ho sprecato di tempo…”

“Hai ‘sprecato’ tempo……”

“Soffrire oltre l’umano come ho sofferto io annulla il vero piacere della scalata.
Oggi penso che non si debba soffrire così, che questo tipo di sofferenza tolga tempo alla vita.”

“E il risultato che hai conseguito ?”

“Sì certo, sono orgoglioso delle vie aperte ma quanto tempo ho sottratto al vero piacere dell’arrampicare per arrampicare, al piacere di muoversi, studiando il movimento con serenità, con calma, in un tutto armonico con la montagna….”

“La montagna quindi si gode più su un quarto grado che su un settimo?”

“Su un quarto, quinto grado sei più libero. Puoi permetterti di gustare i movimenti, puoi “nuotare verso l’alto”con stile, perché lo scalare è nuoto in un elemento diverso dall’acqua , ma è nuoto ascendente…. Su un quarto grado puoi gustare ciò che ti circonda….
Fermarti e spaziare con lo sguardo..senza stressanti paure.”

“La montagna quindi per te è stata tiranna…”

“ Nel senso che mi ha soggiogato la sfida del traguardo.
La sfida con me stesso mi ha reso..sì..schiavo.
Godere della montagna non deve e non può significare giocarsi la vita.
Anche questo voglio dire ai giovani: la vita è troppo importante ”

Genni B. – Renato Placuzzi